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Corte d'Appello di Bologna > Part time
Data: 26/03/2002
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 136/02
Parti: INPS / Milano S.
PART-TIME VERTICALE - PERIODI NON LAVORATI - DIRITTO AL TRATTAMENTO DI DISOCCUPAZIONE ORDINARIA: SUSSISTENZA - INVOLONTARIETA' DELLA DISOCCUPAZIONE: NON COINCIDENZA CON IMPREVEDIBILITA' - REQUISITO DELL'OCCUPAZIONE ULTRASEMESTALE: IRRILEVANZA.


Una lavoratrice che aveva prestato attività lavorativa come operaia, con contratti a tempo determinato, da gennaio a giugno e da settembre a dicembre nel corso dell'anno 1998 (rimanendo conseguentemente priva di occupazione nei mesi estivi) ed era rimasta iscritta nelle liste di collocamento per il periodo di sospensione dell'attività lavorativa, chiedeva all'INPS il trattamento di disoccupazione ordinario a requisiti ridotti per detto periodo, ma la sua domanda veniva respinta con la motivazione che la sospensione dal lavoro era "predeterminata". Proponeva allora ricorso al Tribunale di Ravenna che accoglieva la domanda sul presupposto che la concessione del trattamento richiesto fosse lo stato di disoccupazione involontaria, da intendersi come una carenza di lavoro non dipendente da una scelta individuale, ma imposta dalle condizioni del mercato del lavoro. L'INPS proponeva appello, ribadendo di ritenere carente il requisito dell'involontarietà, e comunque che, secondo il regio decreto n. 1827 del 1935, il trattamento non competerebbe laddove il periodo di occupazione risulti superiore al limite di sei mesi. La Corte d'Appello di Bologna ha respinto il ricorso (confermando quindi la sentenza del giudice ravennate) richiamandosi a due decisioni della Corte Costituzionale ed a recenti pronunce della Corte di Cassazione. Con la prima sentenza (n. 160 del 1974) i giudici delle leggi hanno infatti stabilito che la disoccupazione conseguente ad un periodo di sosta o di stagione morta non può considerarsi volontaria per il lavoratore in conseguenza del fatto di aver volontariamente scelto ed accettato un certo tipo di attività, ma solo se ed in quanto il lavoratore non si sia fatto parte diligente per essere avviato, nel periodo di sospensione, ad altra occupazione. Con la seconda (sent. n. 132 del 1991) la Corte Costituzionale, nell'affrontare la problematica della lavoratrice madre con rapporto di lavoro a tempo parziale verticale, ha ribadito che la disoccupazione conseguente al periodo di sosta non può considerarsi volontaria in conseguenza della volontaria accettazione di quel tipo di attività, il più delle volte imposto dal mercato del lavoro. Gli stessi principi sono stati fatti propri dalla Corte di Cassazione (sent. n. 7838/1998; n. 1141/1999 e n. 3746/2000) con preciso riferimento al rapporto di lavoro a tempo parziale verticale, escludendo che la volontarietà coincida con la prevedibilità, purchè il lavoratore abbia mantenuto l'iscrizione nelle liste di collocamento (in quella ordinaria e in quella a tempo parziale), consentita dall'art. 5 del D.L. n. 726/1984, convertito in legge n. 863/1984: la legge infatti non richiede, ai fini della corresponsione del trattamento di disoccupazione, l'estinzione del rapporto di lavoro. In altre parole, come precisa la Corte d'Appello, «non sembra rilevante, al fine di escludere lo stato di disoccupazione, l'esistenza di un vincolo contrattuale che assicuri, in un momento futuro, il lavoro e la retribuzione». La Corte d'Appello ha infine dissentito dalle argomentazioni svolte nella sentenza della Corte di Cassazione n. 3746/2000, fatte proprie dall'INPS, secondo le quali la fonte regolatrice sarebbe da rinvenire nell'art. 1 del DL n. 108 del 1991 (convertito nella legge n. 169/1991) e non spetterebbe quindi il trattamento nell'ipotesi in cui l'assicurato è occupato per un periodo superiore ai sei mesi all'anno. Tale norma estende in modo definitivo a decorrere dall'anno 1990 il trattamento di disoccupazione "a requisiti ridotti" - previsto originariamente per il solo anno 1988 - ai lavoratori occasionali e occupati in lavorazioni inferiori a sei mesi, vista la difficoltà per loro, in forza della precarietà dell'occupazione, di raggiungere il requisito dell'anno di contribuzione (necessario per percepire il trattamento a requisiti normali, riconosciuto a tutti i lavoratori che abbiano due anni di anzianità assicurativa ed un anno di contribuzione nel biennio precedente). I giudici bolognesi hanno però ritenuto che, nel caso in esame, la norma non potesse essere utilmente richiamata, perché la lavoratrice era in possesso del requisito previsto per il trattamento ordinario di disoccupazione a requisiti normali. Afferma infatti la Corte d'Appello che «A parità di anzianità lavorativa (due anni) il lavoratore può usufruire dell'indennità a requisiti ridotti, se può vantare soltanto 78 giornate lavorative nell'ultimo anno; potrà, invece, godere del trattamento ordinario se può far valere il requisito dell'anno di contribuzione nell'arco dei due anni» in quanto «l'interpretazione sostenuta dall'Istituto previdenziale appellante, secondo la quale non spetta il trattamento di disoccupazione a requisiti normali, per i lavoratori con contratto a tempo parziale verticale superiore a sei mesi, non solo non ha fondamento normativo, ma desta, anche ,delle perplessità di ordine costituzionale, ponendosi in contrasto con gli articoli 3 e 38 della Costituzione»